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Lo Stato condannato a dare 1 miliardo di euro a TIM, il Governo non ci sta e fa ricorso

La Corte d’Appello di Roma ha stabilito che lo Stato dovrà rimborsare a TIM un miliardo di euro per il canone concessorio del 1998, segnando l’ultimo capitolo di una lunga battaglia legale.

La decisione della Corte d’Appello di Roma, emessa il 4 aprile 2024, ha concluso un contenzioso lungo 25 anni tra lo Stato Italiano e Telecom Italia Mobile (TIM), stabilendo che lo Stato dovrà versare a TIM un miliardo di euro. Questo rimborso, che include gli interessi e la rivalutazione monetaria, è relativo al pagamento del canone concessorio richiesto nel 1998, anno in cui è stata avviata la privatizzazione delle reti telefoniche in Italia.

La vicenda ha origine quando, nel 2000, TIM presentò ricorso contro il pagamento di un canone originariamente fissato a 528 milioni di euro. La sentenza della Corte d’Appello di Roma rappresenta l’ultimo sviluppo di una serie di battaglie legali che hanno visto il caso passare dai tribunali nazionali a quelli internazionali. In particolare, nel 2020, la Corte di Giustizia Europea aveva già stabilito che il contributo richiesto dal Governo italiano fosse in contrasto con la direttiva europea sulla concorrenza nel settore delle telecomunicazioni, annullando di fatto il pagamento del canone del 1997.

La sentenza è immediatamente esecutiva, e TIM ha annunciato che avvierà senza indugi le procedure per il recupero dell’importo. Questa decisione è stata accolta positivamente dai mercati, con le azioni di TIM che hanno registrato un rialzo superiore al 5% il giorno precedente l’annuncio. La società, che si appresta a vendere la propria rete al fondo statunitense KKR, vede in questo rimborso una boccata d’ossigeno per i suoi conti, gravati da un debito che supera i 20 miliardi di euro.

Nonostante l’esito favorevole per TIM, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha già annunciato l’intenzione di presentare ricorso contro la sentenza, chiedendo contestualmente la sospensione del pagamento. La vicenda, quindi, potrebbe non essere ancora giunta alla sua conclusione definitiva, ma il verdetto della Corte d’Appello di Roma segna un momento significativo in una disputa legale che si trascina da un quarto di secolo.

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