Polvere di diamante nell’atmosfera, l’idea di Harvard per contrastare il riscaldamento globale

Uno studio dell’Università di Harvard suggerisce di spruzzare nanoparticelle di diamante nell’atmosfera per riflettere i raggi solari e raffreddare il pianeta. La proposta si presenta come alternativa più sicura ed efficace rispetto all’uso di aerosol di solfati.

Boston, Stati Uniti – In un’epoca segnata dall’urgenza di contrastare il cambiamento climatico, un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard ha avanzato una proposta tanto audace quanto sorprendente: utilizzare polvere di diamante per raffreddare il nostro pianeta. Lo studio, pubblicato sulla rivista Atmospheric Chemistry and Physics, delinea un approccio innovativo alla geoingegneria solare, proponendo l’iniezione di nanoparticelle di diamante nell’atmosfera come strategia per mitigare il riscaldamento globale.

L’idea si basa sul principio di riflettere una parte della radiazione solare incidente, riducendo così la quantità di calore intrappolato nell’atmosfera terrestre. Secondo i calcoli dei ricercatori, le nanoparticelle di diamante potrebbero rivelarsi significativamente più efficaci e meno dannose per l’ambiente rispetto agli aerosol di solfati, una soluzione precedentemente considerata ma gravata da potenziali effetti collaterali.

Gli aerosol di solfati, infatti, pur essendo in grado di indurre un raffreddamento simulando gli effetti di un’eruzione vulcanica, presentano una serie di rischi non trascurabili. Tra questi, la possibile formazione di acido solforico nell’atmosfera, con conseguente danno allo strato di ozono, e l’alterazione dei pattern di circolazione atmosferica dovuta all’assorbimento selettivo di determinate lunghezze d’onda della luce solare.

Le nanoparticelle di diamante, al contrario, non solo eviterebbero questi effetti indesiderati, ma risulterebbero addirittura più efficaci nel riflettere la radiazione solare. Secondo lo studio, la polvere di diamante potrebbe essere fino al 50% più efficace degli aerosol di solfati nel raffreddare il pianeta. Inoltre, l’utilizzo di diamanti sintetici potrebbe rendere questa soluzione tecnicamente fattibile, sebbene attualmente costosa.

Un’alternativa altrettanto promettente proposta dai ricercatori è l’uso di nanoparticelle di ossido di alluminio, che offrirebbero un effetto raffreddante paragonabile a quello dei solfati, ma senza i relativi svantaggi. Questa opzione potrebbe rappresentare un compromesso tra efficacia e costi di implementazione.

Nonostante le potenzialità, gli scienziati sottolineano la necessità di ulteriori ricerche per comprendere appieno gli effetti a lungo termine di queste tecnologie sulla chimica atmosferica e sul clima globale. La proposta si inserisce in un più ampio dibattito sulla geoingegneria come possibile strumento per affrontare l’emergenza climatica, sollevando questioni etiche e pratiche sulla manipolazione deliberata del sistema climatico terrestre.

È importante notare che, sebbene innovative, queste soluzioni non sono intese come sostituti delle politiche di riduzione delle emissioni di gas serra, ma piuttosto come potenziali strumenti complementari in uno scenario di emergenza climatica. La comunità scientifica continua a sottolineare l’importanza primaria di ridurre le emissioni e di adottare pratiche sostenibili per mitigare il cambiamento climatico.

Mentre la ricerca prosegue, il dibattito sulla fattibilità, i costi e le implicazioni etiche di tali interventi rimane aperto. La proposta di Harvard, pur nella sua audacia, evidenzia la crescente urgenza di esplorare soluzioni innovative per affrontare una delle sfide più pressanti del nostro tempo, ricordandoci che la lotta al cambiamento climatico richiederà probabilmente un approccio multifaceted e l’esplorazione di strade finora inimmaginabili.