Le strade di Dubai sono state recentemente sommerse da oltre 140 millimetri di pioggia caduti in sole 24 ore, un evento di precipitazioni estreme che ha portato a inondazioni inaspettate in una regione tradizionalmente arida. Questo fenomeno ha riacceso il dibattito sul “cloud seeding”, una pratica di modifica del clima che mira a incrementare le precipitazioni attraverso l’inseminazione delle nuvole.
Il “cloud seeding” è una tecnica che risale agli anni ’40, ma che ha visto un’adozione più ampia solo nei decenni successivi, specialmente in paesi che affrontano periodi prolungati di siccità come gli Emirati Arabi Uniti e la Cina. Questa pratica consiste nell’inserire particelle come ioduro d’argento o sale da cucina nelle nuvole per stimolare la formazione di gocce di pioggia, con l’obiettivo di alleviare la siccità e regolare le precipitazioni in modo più controllato.
Nonostante l’utilizzo diffuso, la recente catastrofe a Dubai ha sollevato questioni sulla sua sicurezza e efficacia. La climatologa Serena Giacomin ha chiarito che le previsioni meteorologiche indicavano già un’alta probabilità di precipitazioni estreme nella regione, suggerendo che l’inseminazione delle nuvole potrebbe non essere stata necessaria o addirittura controproducente in questo contesto. Giacomin ha sottolineato che il modello meteorologico utilizzato non prevedeva il “cloud seeding” come parte dell’analisi, il che pone interrogativi sull’effettiva influenza di questa pratica sulle alluvioni.
Gli esperti continuano a esaminare il legame tra “cloud seeding” e le inondazioni a Dubai, con molti che prendono le distanze dalle teorie che attribuiscono direttamente a questa pratica la colpa delle recenti alluvioni. Tuttavia, l’evento ha evidenziato la necessità di una maggiore comprensione e cautela nell’applicazione di tecnologie di geoingegneria, specialmente in contesti vulnerabili a fenomeni meteorologici estremi.