25 Aprile, la vera storia di “Bella ciao”: che non venne mai cantata dalla Resistenza

Nonostante sia considerata un simbolo della Resistenza, “Bella ciao” non fu mai cantata dai partigiani durante la guerra, ma divenne popolare solo successivamente.

La canzone “Bella ciao” è universalmente riconosciuta come un inno della Resistenza italiana contro il fascismo, tuttavia, la realtà storica racconta una storia diversa. Secondo le ricerche e le testimonianze di storici come Gianpaolo Pansa e Giorgio Bocca, questa canzone non fu mai intonata dai partigiani durante i venti mesi di lotta contro il regime di Mussolini.

La popolarità di “Bella ciao” e la sua associazione con la Resistenza sembrano essere il risultato di una “invenzione della tradizione”, come suggerito da alcuni storici. La canzone, infatti, venne adottata e diffusa solo nel dopoguerra, grazie alla sua melodia orecchiabile e al testo facile da memorizzare, che ne facilitarono la diffusione e l’adozione in contesti di celebrazione e memoria.

Secondo l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (ANPI) Bella ciao “divenne inno della Resistenza soltanto vent’anni dopo la fine della guerra quando già da anni i partigiani avevano consegnato le armi”

Il libro di Carlo Pestelli, Bella ciao. La canzone della libertà, offre una ricostruzione dettagliata delle origini e della diffusione della canzone, sostenendo che la versione partigiana di “Bella Ciao” potrebbe essere stata composta dopo la guerra da Vasco Scansani di Gualtieri. Questa versione narra la storia di un partigiano che si sveglia e trova l’invasore, chiedendo di essere portato via per non morire sotto l’oppressione, e di essere seppellito in montagna, dove chi passerà potrà ammirare il “fiore del partigiano”, simbolo di chi è morto per la libertà.

D’altra parte, esiste anche una versione meno conosciuta di “Bella Ciao”, quella delle mondine. Le mondine erano le lavoratrici delle risaie del Nord Italia, e la loro versione della canzone descrive la dura realtà del loro lavoro nei campi, circondate da insetti e zanzare, e il loro desiderio di libertà e di miglioramento delle condizioni lavorative. Secondo lo storico Cesare Bermani, questa versione potrebbe essere stata precedente a quella partigiana, sebbene ci siano opinioni divergenti su quale delle due versioni sia effettivamente la più antica.

Il successo di “Bella ciao” come simbolo resistenziale può essere attribuito anche alla sua neutralità ideologica. A differenza di altri canti come “Fischia il vento”, che sono esplicitamente marcati da simbologie comuniste, “Bella ciao” non porta con sé un’etichetta politica specifica, il che ha permesso una più ampia accettazione tra diverse correnti politiche e sociali.

Una mattina mi son svegliato
o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao
una mattina mi son svegliato
e ho trovato l’invasor.

O partigiano portami via
o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao
o partigiano portami via
che mi sento di morir.

E se io muoio da partigiano
o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao
e se io muoio da partigiano
tu mi devi seppellir.

Seppellire lassù in montagna
o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao
seppellire lassù in montagna
sotto l’ombra di un bel fior.

E le genti che passeranno
o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao
e le genti che passeranno
mi diranno che bel fior.

E questo è il fiore del partigiano
o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao
e questo è il fiore del partigiano
morto per la libertà

Nonostante non sia stata una testimonianza diretta della lotta partigiana, “Bella ciao” è riuscita a incarnare lo spirito di resistenza e la lotta per la libertà, diventando un simbolo potente e trasversale, celebrato ogni anno il 25 aprile, giorno della liberazione d’Italia, e riconosciuto ben oltre i confini nazionali.

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