Manovra 2025, via i contributi all’editoria e reinvestire la somma per gli aiuti alle famiglie

Manovra Finanziaria 2025, ecco perché è ora di togliere gli incentivi all’editoria e reinvestirli in aiuti alle famiglie.

Italia – Il sistema dei contributi pubblici all’editoria, sia diretti che indiretti, rappresenta ormai da decenni un elemento distorsivo del mercato dell’informazione in Italia, che impedisce una reale competizione tra gli operatori e ostacola l’emergere di modelli di business innovativi e sostenibili nel lungo periodo. Nonostante le ripetute promesse di riforma e razionalizzazione, questo meccanismo continua a drenare ingenti risorse pubbliche a beneficio di realtà editoriali che, in un contesto di libero mercato, difficilmente riuscirebbero a sopravvivere facendo affidamento esclusivamente sui propri lettori e inserzionisti pubblicitari.

È giunto il momento di porre fine a questo sistema anacronistico e inefficiente, abolendo definitivamente nella prossima manovra finanziaria per il 2025 qualsiasi forma di contributo diretto o indiretto all’editoria, compresi gli sgravi fiscali e le agevolazioni per l’acquisto della carta. Gli editori e le agenzie di stampa devono essere in grado di sostenersi autonomamente attraverso la vendita dei propri prodotti editoriali e la raccolta pubblicitaria, senza fare affidamento su sussidi statali che alterano la concorrenza e disincentivano l’innovazione nel settore.

Un mercato editoriale realmente libero e competitivo premierà le testate e le agenzie capaci di offrire un prodotto informativo di qualità, in grado di intercettare l’interesse e la fiducia dei lettori, mentre le realtà meno efficienti o poco apprezzate dal pubblico saranno naturalmente espulse dal mercato, liberando spazio per nuovi operatori più dinamici e al passo coi tempi. Questo processo di selezione naturale, guidato dalle preferenze dei consumatori anziché dalle decisioni politiche di allocazione dei contributi, porterà nel medio-lungo periodo a un’informazione più plurale, indipendente e di qualità.

Le risorse attualmente destinate ai contributi all’editoria potrebbero essere reinvestite in misure di maggiore utilità sociale, come l’ulteriore riduzione della pressione fiscale sui redditi medio-bassi o l’azzeramento dell’IVA su prodotti essenziali come assorbenti femminili e pannolini per bambini. Questi beni di prima necessità non dovrebbero essere oggetto di tassazione da parte dello Stato, in quanto il loro acquisto non rappresenta una scelta ma una necessità per milioni di famiglie italiane.

L’abolizione dei contributi all’editoria non deve essere vista come un attacco all’indipendenza dell’informazione o al pluralismo delle voci, ma al contrario come un’opportunità per liberare il settore da logiche assistenzialiste e clientelari che ne hanno frenato lo sviluppo e l’innovazione. Un’informazione realmente libera e indipendente non può basarsi su finanziamenti pubblici, ma deve trovare la propria sostenibilità economica nel rapporto diretto con i lettori e gli inserzionisti, offrendo contenuti di qualità in grado di generare valore.

È comprensibile che questa proposta possa incontrare resistenze da parte di chi ha beneficiato per anni di questo sistema di sussidi, ma è nell’interesse dell’intero settore editoriale e dei cittadini avviare una fase di transizione verso un modello più sostenibile e orientato al mercato. Le testate e le agenzie più solide e innovative non avranno difficoltà ad adattarsi al nuovo contesto competitivo, mentre quelle meno efficienti saranno spinte a rinnovarsi o a cercare nuove fonti di finanziamento privato.

In conclusione, l’abolizione dei contributi all’editoria rappresenta una scelta coraggiosa ma necessaria per modernizzare il settore dell’informazione in Italia, rendendolo più dinamico, plurale e rispondente alle reali esigenze dei lettori. Le risorse risparmiate potranno essere destinate a misure di maggiore impatto sociale, come la riduzione della pressione fiscale sui beni di prima necessità, generando benefici diffusi per l’intera collettività. È tempo che l’informazione italiana si emancipi dalla dipendenza dai sussidi pubblici e si misuri pienamente con le sfide e le opportunità di un mercato aperto e competitivo.