Nel 1992, l’Italia attraversava un periodo di grandi cambiamenti: la caduta della Prima Repubblica, l’esplosione di Tangentopoli e le pressioni per l’ingresso nell’Unione Europea e nell’Euro. In questo contesto si colloca l’Operazione Britannia, una riunione segreta avvenuta sul panfilo della regina Elisabetta II, il Britannia, che ha segnato una svolta nella politica economica italiana con la decisione di avviare un massiccio programma di privatizzazioni.
Durante l’incontro, a cui parteciparono figure chiave dell’economia di Stato italiana come il presidente di Bankitalia Ciampi e il ministro Beniamino Andreatta, si decise di privatizzare ampie porzioni dell’economia pubblica italiana. Questo includeva settori come trasporti, energia, banche e telecomunicazioni. Mario Draghi, all’epoca direttore generale del Tesoro, presentò una relazione sui costi e i vantaggi delle privatizzazioni, sebbene emergesse un certo scetticismo dalle sue parole.
Le privatizzazioni interessarono aziende statali e partecipate in vari settori, tra cui Eni, Iri, Comit, Enel, Telecom Italia, Ansaldo, Edison, Ina ecc… L’obiettivo era triplice: ridurre il debito pubblico, aumentare l’efficienza e la competitività delle aziende privatizzate e incrementare l’occupazione. Tuttavia, le cose non andarono come alcuni si sarebbero aspettati. La maggior parte delle aziende coinvolte nella fase di privatizzazione finì in mani di multinazionali straniere o speculatori che le hanno portate nel giro di pochi anni alla chiusura o allo smembramento.
Telecom Italia, la vecchia SIP, al momento della privatizzazione avvenuta nel 1997 per decisione del Governo Prodi, era tra le prime compagnie di telecomunicazioni al mondo e tra le prime 3 a livello europeo. Nell’arco di pochi anni Telecom ha perso tutta la sua solidità arrivando a dover svendere buona parte del patrimonio tra cui molte partecipazioni internazionali. Ma non solo Telecom (ora TIM) anche la Società Autostrade, CIRIO, Edison, Ansaldo ecc.. sono finite in mani straniere chiudendo stabilimenti e produzione in Italia o ridimensionando fortemente la loro produzione ed il loro prestigio.
Con la vendita (o svendita) dei grandi gioielli di famiglia della Repubblica Italiana cessò anche l’esistenza dell’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, che fu fondato nel 1933 per risanare il sistema bancario e le imprese private in crisi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’IRI ebbe un ruolo centrale nel miracolo economico italiano. La sua privatizzazione iniziò negli anni ’80 e ’90 e si concluse con la sua dissoluzione nel 2002. L’IRI era uno dei più grandi conglomerati statali al mondo, con un portafoglio che includeva aziende nei settori dell’autostrada, dell’aviazione, bancario, siderurgico, alimentare, chimico e delle telecomunicazioni. La fine dell’IRI segnò la conclusione di un’epoca in cui lo Stato italiano aveva un ruolo predominante nell’economia nazionale ma al contempo aveva portato l’economia italiana ad essere la 6a al mondo.